
Sant'Anselmo d'Aosta, monaco e uno dei più importanti filosofi della Scolastica, elaborò due prove fondamentali per il dibattito medievale sull’esistenza di Dio:
- La prova ontologica a priori, che riguarda l’essere e precede l’esperienza sensibile.
- La prova cosmologica a posteriori, basata sull'osservazione della realtà e sull’esperienza.
DISPUTATIO DE UNIVERSALIBUS
Al centro della disputa vi era la relazione tra pensiero e realtà, ovvero il rapporto tra universale e particolare, tra uno e molti. Questo problema è ereditato dalla filosofia antica e, in particolare, dalla riflessione sull’arché (il principio originario della realtà).Nella filosofia aristotelica e nella logica antica, il rapporto tra pensiero e realtà era descritto in modo avalutativo, ossia neutrale rispetto ai valori. Nel Medioevo, invece, questo rapporto assume una dimensione teologica: l’universale viene identificato con Dio.
Nel dibattito scolastico vengono proposte tre modalità per intendere il rapporto tra universale e particolare:
- Ante rem (prima della cosa) – Questa posizione sostiene che l’universale precede il particolare. È una prospettiva platonica, poiché si basa sull’idea che le realtà universali (come le Idee in Platone) esistano indipendentemente dagli oggetti particolari. Questo approccio è deduttivo, poiché parte dall’universale per spiegare il particolare.
- In re (nella cosa) – Secondo questa visione, l’universale esiste all’interno del particolare, come una sua componente essenziale. È la posizione aristotelica, in cui l’universale e il particolare formano un'unità (sinolo).
- Post rem (dopo la cosa) – Qui l’universale è considerato una semplice astrazione mentale ricavata dall’esperienza dei particolari. È una prospettiva concettualista, basata su un metodo induttivo: l’intelletto elabora l’universale a partire dai dati sensibili.
LA PROVA ONTOLOGICA A PRIORI
Sant’Anselmo d'Aosta cerca di tenere in considerazione tutte e tre le modalità della disputa sugli universali (ante rem, in re, post rem) perché, come scolastico, il suo obiettivo è dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio. A tal fine, elabora la prova ontologica a priori, che sarà successivamente ripresa da Cartesio e più tardi criticata da Kant.La prova ontologica è definita a priori perché non si basa sull’esperienza sensibile, ma esclusivamente sulla riflessione logica. È detta ontologica perché riguarda l’essere e, in particolare, il rapporto tra pensiero ed esistenza.
Dio è ciò di cui non si può pensare il maggiore e, in quanto tale, esiste.Questa affermazione muove dal fatto che se Dio esistesse solo nel pensiero e non nella realtà, allora si potrebbe pensare a un essere ancora più grande: uno che esiste sia nel pensiero che nella realtà. Ciò sarebbe tuttavia contraddittorio, perché Dio è per definizione l’essere massimo e perfetto. Dunque, Dio deve necessariamente esistere anche nella realtà.
Alla base di questa prova vi è perciò la distinzione tra essenza ed esistenza: negli esseri finiti, essenza ed esistenza sono due concetti distinti. Un ente, in quanto esistente, mostra la propria essenza nella sua dimensione finita. In Dio, invece, essenza ed esistenza coincidono: Dio non può essere concepito senza esistere, perché la sua essenza implica necessariamente l’esistenza. Questa riflessione porta Anselmo a concludere che il pensiero dell’infinito (Dio) non può essere un mero prodotto della mente umana. Se la mente finita dell’uomo può concepire l’idea di un essere infinito, allora significa che tale essere deve esistere. Se fosse solo una creazione mentale, sarebbe una fantasia arbitraria, cosa che non può essere, dato che la mente umana non potrebbe immaginare qualcosa di sproporzionato rispetto alla sua stessa natura.
Il primo filosofo che tenterà di confutare radicalmente la prova ontologica sarà Immanuel Kant. Secondo Kant, l’errore di Anselmo sta nel trattare l’esistenza come una proprietà di un ente, come se fosse una caratteristica aggiuntiva. Per Kant, invece, l’esistenza non è un predicato reale: dire che qualcosa esiste non aggiunge nulla alla sua definizione concettuale. Pertanto, il fatto che possiamo concepire Dio come "l'essere più grande" non implica necessariamente che egli esista nella realtà.
LA PROVA COSMOLOGICA A POSTERIORI
A differenza della prova ontologica a priori, che parte dalla pura riflessione logica, la prova cosmologica a posteriori si basa sull’esperienza sensibile e sull’osservazione del mondo.Tutto ciò che percepiamo con i sensi appare ordinato e regolato. Ma se esiste un ordine nella natura, deve necessariamente esserci una causa ordinatrice che dà origine e regola l’ordine dell’universo, ovvero Dio.
La prova cosmologica non si limita all'ontologia (lo studio dell’essere in sé), ma si estende alla regolarità della natura, ponendosi dunque anche sul piano della fisica e della causalità. L’osservazione del mondo naturale suggerisce che l’ordine non può essere casuale, ma deve avere un principio regolatore superiore.
Per questo motivo, la prova cosmologica è definita a posteriori: parte dall’esperienza del mondo sensibile e, attraverso la riflessione, arriva alla conclusione dell’esistenza di un ente supremo, Dio, che funge da causa dell’ordine universale.
Questa argomentazione sarà successivamente ripresa e sviluppata da San Tommaso d’Aquino nelle sue Cinque Vie, in particolare nella via basata sulla causalità e nel concetto di "motore immobile".
IL PROSLOGION
Il Proslogion è l’opera più importante di Sant’Anselmo e rappresenta la sintesi del suo pensiero filosofico e teologico. In questo scritto, egli continua la sua riflessione sulla natura di Dio e sulla relazione tra fede e ragione.Un punto di partenza essenziale nel Proslogion è la necessità di una purificazione interiore e di un forte impegno personale per avvicinarsi a Dio. Sant’Anselmo sostiene che la conoscenza di Dio non è un semplice atto intellettuale, ma richiede un percorso di introspezione e purificazione dell’anima. Questa concezione è coerente con la tradizione filosofica di Platone e Senofane, che enfatizzavano il ruolo della ricerca interiore nella scoperta della verità. In questo contesto, Sant’Anselmo utilizza il termine "omuncolo", ripreso da Aristotele, per indicare coloro che non valorizzano la propria specificità e non si elevano alla ricerca della verità suprema.
Sant'Anselmo continua poi riflettendo sul rapporto tra fede e conoscenza: esse si rinviano reciprocamente. La fede, infatti, è la base della conoscenza, poiché garantisce l’accesso a una verità superiore che l’intelletto umano da solo non potrebbe raggiungere. La conoscenza approfondisce e rafforza la fede, permettendo di comprendere meglio le verità divine.
Questa interdipendenza si basa su due condizioni fondamentali:
- La purificazione interiore, necessaria per accedere alla conoscenza di Dio.
- L’armonia tra fede e ragione, dove la filosofia diventa funzionale alla teologia, anziché essere il sapere supremo come lo era nell’antichità.
